L'ira del Vesuvio
Due settimane fa è stata la ricorrenza di un evento di cui, chi più e chi meno, tutti abbiamo studiato o semplicemente sentito parlare. Il 24 ottobre del 79 d.C. (e non ad agosto come confermato da un ritrovamento di un’iscrizione a carboncino) avveniva la disastrosa eruzione del Vesuvio che seppellì, letteralmente, le città di Pompei, Ercolano (all’epoca l’antica Risina), Stabia e Oplontis (la cui area è quella oggi occupata dall’odierna Torre Annunziata). Siamo nel I secolo dopo Cristo, dopo un anno di guerra civile a Roma, le insegne imperiali passarono dalla dinastia Giulio – Claudia a quella dei Flavi, iniziata da Vespasiano, continuata e terminata dai suoi due figli: Tito, il figlio maggiore e Domiziano, il figlio minore. L’eruzione avvenne durante il breve regno di Tito (solo due anni) tanto che Tacito lo definì “felix brevitate”, felice nella sua brevità (o per la sua brevità) e, inoltre, “amore e delizia del genere umano”, frase guadagnata per la sua opera di soccorso e aiuto alla popolazione nelle fasi pre e post eruzione. I centri abitati erano situati sotto il Vesuvio e lungo le sue pendici poiché era considerato inattivo e, addirittura, una montagna qualunque. I primi eventi della sua attività risalirebbero al 62 d.C., dopo quasi otto secoli di inattività, infatti pare ci furono parecchi eventi sismici che in qualche modo anticiparono la catastrofe ma, proprio perché il Vesuvio era considerato inattivo, questi eventi non furono presi in considerazione. C’è anche da ricordare che all’epoca la forma del vulcano era diversa rispetto a come è oggi e, soprattutto, come viene spesso rappresentata nell’immaginario collettivo. Ciò lasciava ancora meno pensare che potesse trattarsi di un vulcano. Secondo uno studio stratigrafico avvenuto nel 1982 si giunse alla conclusione che l’eruzione durò oltre 24 ore e si divise in due specifiche fasi: a Pompei durò circa 20 ore mentre a Ercolano, insieme ad altri insediamenti a nord – ovest del vulcano, l’eruzione cambiò con la direzione dei venti e avvenne dopo circa 12 ore dalla prima. Essa seppellì sotto uno strato di ceneri e detriti incandescenti, alto diversi metri, le città attorno. Si alzò in cielo una nube piroclastica seguita da un potente boato, gli studiosi ipotizzano che possa essere stata alta circa 26 km, quando collassò si abbatté sul suolo ad una velocità di circa 100km/h, seppellendo tutto. All’epoca le ricche città di Pompei ed Ercolano dovevano avere tra i 16 e 20 mila abitanti, nelle ceneri pietrificate sono stati ritrovati circa 1500 resti di persone sebbene il numero preciso delle vittime è tuttora ignoto. L’eruzione fu definita di tipo “pliniano” (ovvero di tipo esplosivo e, successivamente, fumosa) poiché fu lo scrittore e senatore romano Plinio il Giovane che la descrisse dettagliatamente in una lettera all’amico Publio Cornelio Tacito e nella cui eruzione perse lo zio materno e padre adottivo Plinio il Vecchio. Ci racconta come la gente, per mettersi in salvo si riversò lungo il vicino stabilimento costiero di Miseno (l’odierna Bacoli) attendendo le navi che l’avrebbero portata in salvo. Grazie agli studi svolti in loco, gli storici hanno accertato che gli abitanti si allontanarono non come in preda al terrore ma con calma e ordine nonostante il tragico concetto, poiché non sono pervenuti cadaveri di persone morte schiacciate o calpestate. Nel lasciare le città, oltre alle persone, ci furono anche gli animali, soprattutto quelli domestici. Sebbene la cosa che ci differenzia dagli animali è la razionalità, in un clima simile, anche loro spinti dalla paura cercavano riparo, alcuni non riuscirono a trovarlo così come le persone e questo lo sappiamo grazie ai ritrovamenti dei corpi carbonizzati di persone che, non volendo abbandonare il loro animale, decisero di morire insieme, come a volerli proteggere. Vi risparmierò i dettagli sui ritrovamenti degli scheletri di ogni genere, scene strazianti che sono rimasti nella storia e che ancora rimangono vivi nella mente di chi li ha visti, o ha visitato gli scavi, anche solo una volta. Il destino di Pompei ci ricorda quanto il destino sia imprevedibile e quanto noi siamo impotenti davanti ad esso; una città diventata simbolo dell’età romana per ricchezza e potenza, divenne nota per la tragedia che la colpì.
Di Stefano Ciurleo
Immagine: Karl Brullov, The last day of Pompeii, 1830-1833